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il Diario del Capitano, A. Di Gregorio

La Crab Mentality

La Crab Mentality mentalità del granchio
La Crab Mentality

La Crab Mentality, o mentalità del granchio, è una linea di pensiero definita semplicemente dalla frase: “se non posso averlo io, non puoi averlo nemmeno tu” e deriva da un modello di comportamento osservato nei granchi quando intrappolati in un secchio.

Essi, infatti, se costretti a rimanere in un secchio, barile o qualsiasi altro contenitore simile, si intralceranno a vicenda, vanificando qualsiasi tentativo di fuga di un singolo esemplare e assicurando la morte di tutto il gruppo.

L’analogia nel comportamento, invece, si andrebbe ad assumere in quei comportamenti che mirano a ridurre la fiducia in un singolo membro di un gruppo, una volta che questo raggiunge un successo al di là degli altri, dovuto principalmente ad invidia, risentimento, rancore o sentimenti competitivi.

Fonte: “A Phenomenological Analysis of the Crabs in the Barrel Syndrome”, Carliss D. Miller, Academy of Management

Ti é mai accaduto di vivere un’esperienza simile? Contestualizzando il concetto nelle relazioni di coppia, accade quando inspiegabilmente una persona cerca di procurare dei problemi all’altro/a senza che ci guadagni nulla, anzi, pagandone le conseguenze. Si potrebbe dire che lo fa per puro dispetto, ma ecco quindi spiegato il comportamento dal punto di vista scientifico.

Cosa fare? Mostrare il proprio risentimento all’altro non fa che alimentare l’atteggiamento distruttivo, quindi meglio comprenderne il disagio e accogliere la sofferenza che viene mostrata attraverso questo genere di comportamento. Difficile, ma possibile.

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Per essere gentili bisogna essere forti

Per essere gentili bisogna essere forti

La libertà viene prima di ogni altra cosa, ancor prima dell’amore, perché non si può amare se non si è liberi.
Liberi da aspettative, da giudizi, da paragoni. Se si rinuncia alla libertà si può al limite sperare di vivere un rapporto simbiotico, ma in questo modo, se uno dei due va a fondo, l’altro quasi inevitabilmente lo segue.

Per sapere se si è liberi è necessario vivere nell’indipendenza, affrontando i lati oscuri della propria mente.
Hai bisogno di stare in compagnia di un partner? Prova a stare da solo fino a quando inizi a sentirti disorientato.
Hai bisogno di lavorare insieme ad altre persone? Prova a lavorare da casa fino a quando senti un forte bisogno di scambio.
Hai bisogno di mangiare senza che tu ne abbia effettivamente bisogno? Prova a digiunare fino a quando è la fame a chiamare il cibo.
È affrontando i propri bisogni, accogliendo senza respingere la sensazione che si prova dentro se stessi, che ci si dà la possibilità di conoscersi.

Una volta imparato ad “assaggiare il veleno” ci si rende più immuni, proprio come accade con il siero per il veleno dei serpenti.
Si impara a convivere con il lato buio della propria mente e, ad un certo punto, ciò che rappresentava la paura si trasforma in un potente alleato, capace di rendere se stessi più forti. È a quel punto che si è pronti ad amare.

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Tratta gli altri come un fine

Tratta gli altri come un fine, mai come un mezzo

Tratta gli altri come un fine, mai come un mezzo.
Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventar per mezzo della tua volontà una legge universale di natura.

I. Kant

Per ogni decisione che mettiamo in atto ci sono degli effetti che si producono nel sistema circostante, in altre parole, tutto produce una conseguenza.
Il principio, oltre ad avere una natura filosofica, trova evidenze anche in ambito scientifico. Tutto è collegato, come se fossimo singole cellule di un immenso organismo.

In pressoché tutte le culture, a tale proposito troviamo parole di saggezza, o se preferite avvertenze, rispetto quello che può accadere in seguito alle proprie azioni.
Le conseguenze possono essere positive e negative, a seconda di ciò che si immette nel sistema. La legge della natura privilegia l’equilibrio e l’armonia, pertanto se si agisce rispettando questi presupposti, non si rischiano brutte sorprese.

A volte, tuttavia, capita di essere vittime della conseguenza di azioni compiute da altri, sebbene si sia operato nel giusto e, quando ciò accade, ci si chiede perché sia accaduto proprio a noi. La risposta è piuttosto semplice, si era parte di quel sistema.
Se si vogliono evitare spiacevoli conseguenze per atti commessi da individui inconsapevoli, è opportuno scegliere con attenzione il sistema a cui si vuole appartenere, sia che si tratti di singole persone con le quali si costituisce una relazione, piuttosto che di gruppi o comunità.

Laddove si crede di operare la miglior scelta, ma non se ne può avere la riprova, è bene almeno assicurarsi di essere indipendenti e quindi avere l’opportunità di scegliere.
Come dice Richard Bandler, “la libertà è tutto, il resto è amore”.

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Le navi non affondano

Le navi non affondano

Le navi non affondano perché c’è acqua intorno a loro. Le navi affondano perché l’acqua entra in loro.
Non lasciare che le cose che accadono intorno a te, entrino in te e ti portino sul fondo.

Sun Tzu

Chiunque ha sperimentato l’esperienza del sentirsi “affondare”.
Impotenti di fronte ad una forza che dall’esterno tira giù. Ma come funziona questa forza? Esiste davvero?

In realtà no, al solito si deve ringraziare la mente per questa sensazione.
Essa conduce in una trappola dove il bisogno di affidarsi rende vulnerabili.

Tornando alla metafora della nave, è come se qualcuno facesse dei buchi nei fianchi dello scafo, permettendo così all’acqua di entrare nel momento in cui il mare diventa mosso.

Cosa si può fare?
La regola di base è non avere aspettative, perché ogni volta che se ne hanno, e gli altri non reagiscano come si vorrebbe, inevitabilmente si soffre.
Per riuscirci si deve cercare l’indipendenza, ovvero essere in grado di vivere felici senza l’aiuto di qualcuno o di qualcosa.
C’è una bellissima poesia di Madre Teresa di Calcutta, che parla di questo.

Non aspettare di finire l’università,
di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposarti,
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei dieci chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera,
l’estate,
l’autunno o l’inverno.
Non c’è momento migliore di questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro,
ama come se non ti avessero mai ferito e balla,
come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce,
i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia: la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela.
Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.
Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere.

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Aiuta solo chi te lo chiede

Aiuta solo chi te lo chiede

Si dice anche che il maestro si presenta solo quando l’allievo è pronto, ma chi è questo maestro?

Il principio che anima il cambiamento nasce dalla consapevolezza che sia arrivato il momento di fare un passo in avanti, un momento che solo la persona interessata conosce.

Non è etico aiutare chi non chiede aiuto, perché è come invadere il suo spazio, il suo sacro libero arbitrio. L’intenzione è sicuramente positiva, ma l’effetto che si genera non lo è quasi mai. La persona non consapevole del proprio bisogno rifiuta l’aiuto, lo ritiene un pericolo per sé e pensa che chi lo vuole aiutare sia un usurpatore della propria vita.

Dopodiché, il maestro non è necessariamente una persona, un saggio con la barba bianca, si può presentare sotto diverse sembianze, anche in forma di esperienza. Può essere anche qualcosa di drammatico, come una malattia o una perdita, piuttosto che un nuovo scenario (vedi quello generato con la pandemia). L’allievo pronto per la lezione riceve così un aiuto dalla stessa esperienza ritenuta a prima vista esclusivamente negativa.

Accade tutte le volte in cui un evento a prima vista ritenuto terribile, si trasformi poi nella cosa migliore che poteva accadere. Di esempi in questo senso ve ne sono molti, nell’ambito PNL si ricordano le parole di Patricia Dilts (1929 ­- 1995), che definì il cancro di cui si ammalò come “la migliore cosa che sarebbe potuto accaderle”. In seguito a quella malattia scrisse infatti “Il mio viaggio, storia di una guarigione”, una straordinaria testimonianza di chi ha saputo rinascere in seguito a qualcosa di drammatico.

La cosa più saggia che si può fare è quindi chiedersi cosa possa insegnare quella determinata esperienza, evitando di rispedire al mittente le responsabilità dei propri momenti di crescita, pensando tout court che sia colpa di qualcun altro.

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Solo si muore da che s’è pensato

Solo si muore da che s’è pensato

Penso e ripenso: « Che mai pensa l’oca
 gracidante alla riva del canale? 
Pare felice! Al vespero invernale 
protende il collo, giubilando roca.

 Salta starnazza si rituffa gioca: 
né certo sogna d’essere mortale 
né certo sogna il prossimo Natale 
né l’armi corruscanti della cuoca ».

 O pàpera, mia candida sorella,
 tu insegni che la Morte non esiste: 
solo si muore da che s’è pensato. 

Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
 Ché l’esser cucinato non è triste, 
triste è il pensare d’esser cucinato.

Guido Gozzano

Ogni giorno accade qualcosa che può cambiarci la vita e, se osservati bene, in ognuno di questi eventi potrebbero realizzarsi sogni incredibili. Pochi ne sono consapevoli, la maggior parte è impegnata a pensare ad altri scenari, puntualmente disastrosi, che probabilmente non si avvereranno mai.
Stessi stimoli, ma atteggiamenti opposti.

La gente prende decisioni come se il futuro fosse già definito nei dettagli, ma non è affatto così. La realtà cambia continuamente e l’errore più grande che si può fare è credere che prima o poi le cose tornino alla “normalità”. Oggi la normalità è il cambiamento e chi non lo capisce è fuori dai giochi.

Prova a farti qualche domanda: se pensi a cinque anni fa, avresti mai immaginato la tua realtà di oggi? Quanto hai pensato e ripensato a scenari che non si sono mai avverati, oppure, quand’anche lo fossero stati, ne è valsa la pena pensarci? Che qualità ha portato alla tua vita averci speso quel tempo e quelle notti insonni?

Una delle molteplici frasi attribuite ad Albert Einstein dice: “È meglio essere ottimisti e scoprire di aver avuto torto, che essere pessimisti e scoprire di aver avuto ragione”.

Vivere la propria vita pensando a come rendere vantaggiosa qualsiasi cosa accade è sicuramente un’opzione migliore, rispetto al dannarsi costantemente su ciò che potrebbe accadere; se lo farai il miraggio della serenità si avvicinerà a te e gli altri inconsapevoli ti diranno che sei matto, ma tu saprai che è proprio il contrario.

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Vivere non è sopravvivere

Vivere non è sopravvivere

Ti capita mai di incontrare qualcosa che potrebbe farti fare un salto di qualità, ma che sistematicamente eviti?

La paura blocca, non fa avanzare, lascia impietriti, perché si è di fronte a qualcosa che si ignora.
Non sempre, tuttavia l’ignoto è negativo, anzi molto spesso è la mente a renderlo spaventoso, quando in realtà non lo è affatto.
Si potrebbe dire che nella mente si proietta l’ombra di un topolino che di riflesso diventa un dinosauro.

D’altra parte la paura è anche ciò che ci rende capaci di evitare gli errori più comuni.
Il vero problema è che se si indugia troppo, la fiammella che aveva dato inizio al desiderio lentamente si spegne, lasciando posto al nulla di fatto.

Ebbene, è meglio aver rimorsi che rimpianti, è meglio provare col rischio di fallire piuttosto che non provare affatto, in altre parole, è meglio vivere che sopravvivere.

Spesso, infatti, si finisce con lo scoprire che quell’occasione aveva in serbo qualcosa di veramente importante, qualcosa che avrebbe rivelato una parte inedita di se stessi e che sarebbe stato un peccato perdersi e si sa, purtroppo non sempre l’occasione si presenta una seconda volta.

Richard Brandon ha detto: “Se qualcuno ti offre un’opportunità straordinaria ma non sei sicuro di poterlo fare, dì di sì – poi impara come farlo più tardi!”

Direi che questo è il periodo giusto per pensarci…

Vivere non è sopravvivere…🖋

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Quando finire una storia

Quando finire una storia

Quando è opportuno finire una storia?

Ci sono momenti in cui si sente di voler voltare pagina, chiudere storie della propria vita perché si crede che siano finite, ma è proprio così?

Ci si chiede che senso ha continuare, se è proprio quello che vogliamo, se la fatica che stiamo provando è davvero necessaria, quindi si individuano una o più ragioni per giustificare l’atto e si dà disdetta.

Se ne trovano sempre di ragioni, ma il punto non è quello, per capire se sia giunto il momento di concludere è necessario porsi una sola domanda: “Ho davvero terminato ciò che potevo imparare di me stesso da questa relazione, oppure sto solo fuggendo?”.

Ogni esperienza della nostra vita ha senso se abbiamo appreso qualcosa di utile a conoscerci meglio, solo così è possibile definirla con quel nome.
Aver vissuto una storia senza che questa abbia potuto rivelare a noi stessi qualcosa di noi è come non aver vissuto, è come se si fosse stati spettatori, piuttosto che attori della propria vita.

Allora si scopre che quella persona, quel lavoro o quel contesto, in realtà ha avuto un significato, magari più di uno, e quello che ci sta spingendo a mollare ha a che fare con l’essersi fatti prendere dall’abitudine, che poi si è trasformata in noia.

Se si vuole scoprire se davvero è così è sufficiente guardare con occhi diversi la relazione. Se si tratta di una persona basta fissarla proprio negli occhi per un minuto e cercare un contatto intimo, che è l’esatto opposto di quello che si fa quando si vuole dare un taglio, si guarda altrove, nel vero senso della parola.

Guardando negli occhi l’altra persona per un minuto (che a rifletterci non è poco) spesso si scopre che c’è dell’altro, l’emozione che scaturisce dallo sguardo intimo rivela qualcosa che può incuriosire e questo a volte basta per rivalutare i propri pensieri.
In altri casi non emerge nulla e con ciò non intendo un’emozione sgradevole (quella può rivelare l’esatto opposto), bensì calma interiore, un senso di accoglienza e di gratitudine per ciò che è stato e che in modo naturale si conclude.
In altri casi ancora, vi è un crescendo di emozioni che scaturisce dalla consapevolezza che c’è dell’altro, che il viaggio non è ancora concluso.

Ho conosciuto persone che in seguito a questo atto hanno avuto interessanti rivelazioni, individui che stavano mandando all’aria tutto mentre poi si sono ricreduti. Ho conosciuto anche qualcuno che la domanda non se l’è voluta fare e dopo aver terminato la relazione è stato colto da un senso di profonda insoddisfazione, spesso attribuita al mondo esterno.

In conclusione, solo quando hai risposto alla domanda puoi quindi decidere cosa fare, fai solo attenzione ad essere sincero con te stesso 😉

Quando finire una storia…🖋

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Il pregiudizio

Il pregiudizio

L’idea del pregiudizio si basa sull’incapacità delle persone di ascoltare il punto di vista dell’altro. Tale inabilità verte principalmente sulla mancanza di rispetto verso altri modi di intendere la realtà.
Di recente abbiamo avuto innumerevoli esempi di questo fenomeno e sappiamo bene come il parere di qualche sedicente esperto abbia influenzato il comportamento di milioni di persone ritenendo quanto sosteneva come l’inappellabile verità assoluta.

Abraham Lincoln diceva “Non mi piace quell’uomo. Devo conoscerlo meglio”. Questo modo di pensare fa parte di un’attitudine, quella di accrescere la propria conoscenza sospendendo il pregiudizio, ed è applicabile a tutto, dalle persone alle cose della vita.

Il pregiudizio si annida nelle convinzioni degli individui e impedisce loro di avvicinarsi alla verità, è contrario ad un atteggiamento curioso nei riguardi delle cose che non si conoscono ed è precursore di un sentimento distruttivo come l’odio e chi lo prova in qualche modo si ammala. Una massima attribuita a Ghandi dice: “Odiare è come bere veleno sperando che un altro muoia”.

In PNL Sistemica si invita a sospendere il pregiudizio e ad ascoltare con rispetto il punto di vista dell’altro. Possiamo non condividerlo, senza però nutrire odio nei riguardi del nostro avversario.
Al termine di questo ascolto, se non si cambia idea, si manifesta tuttalpiù un sentimento di compassione, che è invece salutare e aiuta ad evolversi.

Una persona che ha dato dimostrazione di questo è stata Daryl Davis, un musicista americano di colore che ha saputo esprimere quest’attitudine nei riguardi di un’associazione particolarmente discussa, il Ku Klux Klan, notoriamente razzista. Egli è stato in grado di confrontarsi con alcuni dei leader dell’associazione riuscendo a far rispettare il proprio punto di vista e, in alcuni casi, a suscitare l’idea del cambiamento in alcuni dei membri inducendoli persino ad abbandonare il clan.

Qui un discorso di Davis ad una conferenza indetta da TED

Quali sono i tuoi pregiudizi e come intendi farne fronte?

Il pregiudizio…🖋

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La domanda nel conflitto

La domanda nel conflitto

Sto leggendo questo libro e volevo condividere questa citazione con voi.

“La buona domanda, anche in un contesto di forte disaccordo, deve rimanere una domanda. Deve cioè mirare, strutturalmente e funzionalmente, a ottenere una risposta, a far progredire la discussione.” (da “Della gentilezza e del coraggio: Breviario di politica e altre cose” di Gianrico Carofiglio)

Quanto viene utilizzata la domanda all’interno di un disaccordo?
Magari anche spesso, il problema è che non viene posta allo scopo di far progredire il confronto, bensì di renderlo ancor più distruttivo, con l’unico obiettivo di attuare il fatidico: I win, you lose, (io vinco, tu perdi), ma a che pro?

L’unico a prendersi la soddisfazione è l’ego, che però si sa, quando si tratta di costruire con gli altri può essere d’intralcio. Lui pensa esclusivamente ad uscirne vittorioso, a tutti i costi.

Allora che si fa? Ecco cosa ci dice la Programmazione Neuro Linguistica:

1. Impara ad accogliere le emozioni, anche quelle meno piacevoli e ascolta la loro intenzione positiva.
2. Chiediti perché le stai provando (evitando di dare la responsabilità al tuo interlocutore per quello che si è creato nella tua mente).
3. Trova la/le domanda/e giusta/e che possa/no aiutare la discussione a progredire.
4. Se non funziona usa la meta comunicazione e manifesta al tuo interlocutore la volontà di trovare un modo per aiutarsi a capire vicendevolmente.
5. Se l’altro/a non ne vuole sapere non insistere e stai sereno/a, tu ci hai provato, ora tocca a lui/lei apprendere dalla sua esperienza.
6. Trova l’insegnamento che possa migliorarti.

Al di là di questi punti, ricorda che la posizione da tenere in un conflitto è quella di colui che pone domande allo scopo di capire, non di giudicare. In questo modo l’interlocutore è spinto a riflettere, piuttosto che a difendersi e voi diventate capaci di gestire la comunicazione, in altre parole assumete il ruolo di “Domandante in capo”.

E tu? Fai domande costruttive quando discuti animatamente?

La domanda nel conflitto …🖋

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