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il Diario del Capitano, A. Di Gregorio

Nuovi obiettivi

“Nuovi obiettivi”,  articolo della rubrica  “Il Diario del Capitano”, curata da Andrea Di Gregorio, Master Trainer PNL e Fondatore di PNL Evolution.

Nuovi obiettivi

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Nuovi obiettivi

Nella vita si presentano momenti che offrono l’occasione di riflettere e puntare ad un qualche cambiamento. Un esempio classico è l’avvicinarsi del nuovo anno, un periodo in cui è comune pensare a nuovi obiettivi. Tuttavia, spesso si commette l’errore di non considerare quelli già stabiliti, propositi che, nonostante abbiano magari prodotto qualche risultato, potrebbero non appagare pienamente.

La mancanza di soddisfazione può derivare da diverse cause, come per esempio, dalla necessità di un continuo e notevole sforzo per il loro mantenimento. Pensiamo ad un obiettivo come un avanzamento di carriera: intento forse raggiunto, ma a costo di uno stress eccessivo e di un bilancio vita-lavoro squilibrato.
In casi come questo, possiamo davvero considerarci soddisfatti?

Oltre a questi, ci sono poi obiettivi che, pur raggiungendo un loro equilibrio non toccano ancora il livello di eccellenza desiderato. Per esempio, una posizione lavorativa in cui non abbiamo ancora avuto la possibilità di esprimere il nostro vero potenziale.

La vera sfida, quindi, non risiede solo nell’impostare nuovi obiettivi, ma anche nel riconoscere e valorizzare quelli già in corso. Lavorando su di essi fino al raggiungimento della loro massima espressione, potremmo realizzare i nostri desideri in modo sostenibile e gratificante a lungo termine.

Una piena realizzazione si ottiene quando ciò che abbiamo fatto produce un effetto positivo su di noi e sul mondo che ci circonda. Come diceva Steve Jobs, qualcosa che lasci una tacca nell’universo.

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Effetto Ikea

“Effetto Ikea”,  articolo della rubrica  “Il Diario del Capitano”, curata da Andrea Di Gregorio, Master Trainer PNL e Fondatore di PNL Evolution.

Effetto Ikea

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Effetto Ikea

Nonostante il nome possa suggerire altrimenti, l’Effetto Ikea è un bias cognitivo, in cui le persone attribuiscono un valore elevato a ciò che hanno contribuito a creare (come nel caso del montaggio dei mobili del rinomato negozio). Questo fenomeno può essere interpretato in diversi modi sotto l’aspetto psicologico e comportamentale; non riguarda solo i mobili o gli oggetti materiali, ma anche gli obiettivi personali e professionali.

Il bias si collega alla teoria della dissonanza cognitiva, in particolare alla giustificazione dello sforzo. Quando una persona si impegna in un’attività, soprattutto se difficile o faticosa, tende a pensare che ci debba essere stata una buona ragione per mettere tutto quel lavoro, valorizzando di più l’obiettivo per il quale ha lavorato.

Le persone tendono a provare ottimismo verso se stesse e ciò che a loro è associato; di conseguenza, i risultati ai quali hanno contribuito, assumono un valore particolare. Ecco alcuni modi per sfruttare l’Effetto Ikea a proprio vantaggio:

1. Fai da te: Impegnarsi nella creazione o ristrutturazione di oggetti per la casa, come dipingere una stanza o assemblare mobili, ma anche semplicemente mettere in ordine un armadio.
2. Cucinare: Preparare un piatto gustoso e che sia anche bello da vedere.
3. Arte e Creatività: Impegnarsi in attività artistiche, come la pittura e la scultura.
4. Esercizio Fisico: Stabilire e raggiungere obiettivi di fitness personali.
5. Progetti Professionali: Portare a termine un progetto impegnativo sul lavoro o lanciare una nuova iniziativa.
6. Nuove Abilità: Apprendere una nuova lingua, imparare a suonare uno strumento musicale o acquisire una nuova competenza.

Albert Einstein ha detto: “Non è che io sia così intelligente, è solo che rimango con i problemi più a lungo”.

Impegnarsi e lavorare per cambiare qualcosa in meglio, restituisce valore a sé stessi, contribuendo a generare autostima. Lo sanno tutti coloro che, dedicandosi con determinazione ad un sogno, sono riusciti a raggiungere risultati ammirevoli: sono quelle persone che molti definiscono “fortunate”.

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L’amore è dentro di noi

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L’amore è dentro di noi

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L’amore è dentro di noi

Quando pensiamo alla persona amata, ai nostri figli, alle nostre passioni, al lavoro che ci fa sentire realizzati, in tutti quei momenti si tende a pensare che sia il mondo esterno a generare l’amore che sentiamo, ma non è così.

L’amore è un sentimento che risiede e si origina all’interno dell’individuo. Le persone e le cose che amiamo servono da catalizzatori o stimolatori per rivelare o amplificare l’amore che già esiste nel nostro intimo. L’amore è un’esperienza complessa, che coinvolge una combinazione di pensieri, sentimenti, e comportamenti ed è modulata dalla nostra storia personale, dalle nostre credenze e dalla nostra personalità.

Questo concetto è vicino a molte tradizioni filosofiche che vedono l’amore come una qualità o una forza che è intrinseca alla natura umana. Per esempio, nell’antica filosofia greca, l’amore (o Eros) è spesso visto come una forza fondamentale che guida il comportamento umano. In questa visione, ciò che amiamo è sentito come mezzo attraverso il quale l’amore che è in noi viene esplorato, sperimentato ed espresso, piuttosto che come la fonte dell’amore stesso.

Rumi, il poeta mistico sufi, diceva: “Il tuo compito non è cercare l’amore, ma semplicemente cercare e trovare tutte le barriere che hai costruito attorno ad esso.”
Pertanto, non piangere di aver perso l’amore, perché quel sentimento è dentro di te e non può abbandonarti, semplicemente ti appartiene. Se qualcuno se n’è andato dalla tua vita, cerca in te quello che si è rivelato e ricorda che ne sei la fonte.

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La perenne illuminazione dell’amore

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La perenne illuminazione dell’amore

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La perenne illuminazione dell’amore

L’amore, inesauribile fonte di mistero e di ispirazione, è oggetto di analisi, non solo in campo letterario e filosofico, ma anche in ambito psicologico. Erich Fromm, nel suo libro “L’Arte di Amare”, esplora l’amore non solo come un sentimento, ma anche come una capacità profondamente radicata nell’essere umano, che può e deve essere appresa e coltivata.

Secondo Fromm, l’amore è un’arte che richiede conoscenza e impegno. Questa visione trova un profondo riscontro nell’idea che amare ed essere amati possano rivelare aspetti del nostro sé interiore. È un viaggio nella nostra anima, un processo attraverso il quale scopriamo lati nascosti di noi stessi, dove forze e debolezze precedentemente inesplorate si rivelano.

Fromm sottolinea che l’amore non è uno stato di grazia, ma un atto di volontà e di decisione. La conoscenza e la consapevolezza ottenute attraverso l’esperienza amorosa diventano punti di partenza per un viaggio di crescita e di comprensione che non ha fine. Infatti, anche quando una relazione termina, l’amore cambia forma ma non si dissolve; l’esperienza di aver amato lascia un segno indelebile, una conoscenza che arricchisce e trasforma.

Amare significa toccare la spiritualità di se stessi e dell’altro, una scoperta che rimane con noi per sempre, influenzando la nostra percezione di noi stessi e del mondo.

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L’importanza dell’attaccamento

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L’importanza dell’attaccamento

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L’importanza dell’attaccamento

Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, la sicurezza emotiva deriva dalle relazioni di attaccamento stabili formatesi durante l’infanzia. Questi primi legami influenzano le nostre interazioni future e la capacità di comunicare efficacemente. La storia che segue evidenzia come l’attaccamento possa essere determinante nella formazione della personalità.

Chiara e Silvia lavorano nella stessa azienda. Sebbene i loro percorsi di vita siano molto diversi, il destino le ha portate a diventare non solo colleghe, ma anche amiche. Questa amicizia si rivela cruciale per Chiara, in particolare quando scopre che Silvia sta seguendo un corso per diventare Counselor.

All’inizio Chiara è un po’ diffidente; le sue esperienze di attaccamento insicuro nell’infanzia hanno lasciato delle cicatrici rendendola cauta nelle relazioni. Tuttavia Silvia, con la sua calma naturale e l’approccio equilibrato frutto del suo attaccamento sicuro, si avvicina a Chiara con gentilezza e pazienza. La curiosità la spinge a chiedere a Silvia di più su questo percorso. Silvia condivide con entusiasmo le sue esperienze e le conoscenze acquisite, parlando di come un buon attaccamento possa influenzare positivamente la vita delle persone.

Col tempo Chiara inizia a confidarsi con Silvia sui suoi problemi di relazione e sulla sua difficoltà nel gestire lo stress e le emozioni. Silvia, utilizzando le competenze acquisite nel suo percorso formativo, offre a Chiara un ascolto empatico e, attraverso le sue domande, aiuta l’amica a scoprire in se stessa risorse che non pensava d’avere. Le parla dell’importanza dell’auto-compassione, della comunicazione efficace e di come riconoscere in se stessa la possibilità di rinascere a vita nuova.

Ispirata da Silvia Chiara inizia a vedere le sue sfide sotto una nuova luce. Impara a riconoscere i segni del suo attaccamento insicuro e inizia a lavorare su di essi. Le conversazioni con Silvia l’aiutano a comprendere meglio le dinamiche delle sue relazioni e ad acquisire strumenti per costruire legami più sani e soddisfacenti.

La storia di Chiara e Silvia sottolinea il potere della crescita personale nel superare le sfide dell’attaccamento insicuro e nel costruire un futuro più luminoso e sereno.

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La cieca speranza, il Bias di Conferma

“La cieca speranza, ovvero, il Bias di Conferma”,  articolo della rubrica  “Il Diario del Capitano”, curata da Andrea Di Gregorio, Master Trainer PNL e Fondatore di PNL Evolution.

La cieca speranza, ovvero, il Bias di Conferma

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La cieca speranza, ovvero, il Bias di Conferma

Nel contesto delle relazioni interpersonali, la saggezza popolare ci consiglia spesso di “prepararci al peggio, sperando nel meglio”. Tuttavia, questo equilibrio tra prudenza e ottimismo può essere compromesso da una particolare distorsione cognitiva: il bias di conferma, ovvero, la tendenza a cercare, interpretare, favorire e ricordare le informazioni in modo tale da confermare le proprie credenze o ipotesi preesistenti.

Questo bias può portare a trascurare segnali di avvertimento o a sopravvalutare le prove che supportano le nostre convinzioni, spesso a scapito di una valutazione obiettiva della realtà.

In altre parole, la tendenza di molti è di sperare in un futuro che, nel migliore dei casi, sarà disatteso e nel peggiore sarà generatore di problemi che mai si sarebbero pensati potersi realizzare.

Esempio in una Relazione Amorosa

Consideriamo il caso di Anna e Marco. Anna, innamorata, tende a interpretare ogni gesto di Marco come prova del suo affetto. Quando Marco si mostra distante o irritabile, Anna lo attribuisce a stress sul lavoro, ignorando i segnali di un possibile disinteresse amoroso. Nel tempo, questa mancata percezione porta ad una relazione unilateralmente impegnativa, con Anna che investe emotivamente molto di più di Marco. Alla fine, quando Marco termina la relazione, Anna si trova sconvolta e incredula, avendo ignorato tutti i segnali premonitori a causa del suo bias di conferma. Ma cosa sarebbe accaduto se, ad esempio, i due nel frattempo avessero messo al mondo un figlio? Come si sarebbe potuta gestire una separazione? Certamente non sarebbe stato sufficiente lasciarsi, come accade tra coppie di fidanzati. Un figlio comporta responsabilità reciproche, insomma, i due avrebbero vissuto pesantemente l’effetto del bias di conferma.

Esempio in una Relazione Lavorativa

Similmente, nel contesto lavorativo, il bias di conferma può avere effetti deleteri. Prendiamo l’esempio di Luca, un manager che è convinto della lealtà e dell’integrità del suo collaboratore diretto, Paolo.
Questa convinzione lo porta a ignorare i feedback negativi da parte di altri colleghi su Paolo, interpretandoli come invidie o malintesi. Luca continua a delegare a Paolo responsabilità cruciali, fino a quando non scopre che Paolo ha abusato della sua posizione per propri vantaggi personali. Luca, vittima del suo bias di conferma, ha subito danni professionali e si ritrova con un problema da gestire che, nel migliore dei casi consiste nel cercare e formare un sostituto per Paolo, ma nel peggiore dei casi, a dover gestire una lite legale in quanto Paolo decide di far valere i propri diritti tramite una causa legale per chissà quali pretese.


Anche in questo caso i due dovrebbero fare i conti con gli effetti del bias di conferma!
Per mitigare gli effetti del bias di conferma, si possono adottare diverse strategie:

1. Cercare Attivamente Prospettive Contrarie: Quando si forma un’opinione, è utile cercare attivamente informazioni che possano contraddirla. Questo aiuta a bilanciare la propria prospettiva.
2. Valutazione Obiettiva: Prendersi il tempo per valutare in modo critico sia le informazioni positive che quelle negative. Questo può significare ascoltare i feedback di altri senza pregiudizi.
3. Auto-Riflessione Regolare: Fermarsi periodicamente per riflettere sulle proprie convinzioni e sul perché si detengono, può aiutare a riconoscere e modificare eventuali bias cognitivi.
4. Farsi aiutare nell’interpretare i propri pensieri da un professionista della relazione d’aiuto, che in modo strutturato riesca a portare in superficie i bias di cui non si sa d’essere vittime.

Il bias di conferma può offuscare il giudizio e portare a conseguenze spiacevoli, come negli esempi descritti o in altri contesti della vita.
Esserne consapevoli e adottare misure proattive per contrastare questo schema mentale, può aiutare a costruire relazioni più sane e soddisfacenti, preparandosi meglio al peggio pur mantenendo una visione ottimista del futuro.

Avete avuto esperienza diretta o indiretta di questi esempi o qualcosa che gli somigli?

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Smettere di comunicare è tossico

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Smettere di comunicare è tossico

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Smettere di comunicare è tossico

La comunicazione è l’ossigeno delle relazioni umane: senza di essa, le connessioni si atrofizzano e muoiono, lasciando spazio all’ascesa di conflitti e incomprensioni. Nella sfera personale, così come in quella globale, l’assenza di comunicazione è terreno fertile per la tossicità relazionale, poiché le persone iniziano a riempire i vuoti con supposizioni e pregiudizi, che spesso sono sbagliati e negativi.

Le guerre, nel contesto internazionale, possono essere viste come il risultato più tragico e distruttivo della cessazione della comunicazione. L’incapacità, ma ancor di più, la mancanza di volontà di dialogare, porta al deterioramento delle relazioni diplomatiche e all’escalation verso il conflitto. Quando i canali comunicativi si chiudono, le parti in conflitto si affidano a percezioni distorte e retorica infiammatoria, realizzando la fallacia della comunicazione, argomento di studio che coinvolge linguisti, filosofi, sociologi e psicologi.

La fallacia della comunicazione si riferisce all’idea errata secondo cui la sola trasmissione di informazioni costituisca una comunicazione efficace. Questa fallacia trascura gli aspetti importanti come il contesto, la percezione del ricevente, i processi interpretativi, e il feedback.
In altre parole, si presume ingenuamente che il messaggio inviato sarà compreso esattamente come inteso, senza considerare come sarà ricevuto e interpretato. È l’esatto opposto dell’atto comunicativo.

La comunicazione è, invece, uno strumento di connessione, di chiarimento, e di risoluzione dei conflitti, la chiave attraverso cui possiamo sviluppare comprensione e compassione.
Tuttavia comunicare richiede coraggio: il coraggio di parlare, ma soprattutto di ascoltare e di rimanere aperti anche di fronte a verità scomode.

La comunicazione è il ponte che collega gli individui e le culture, permettendo la crescita e l’evoluzione, non per altro la sua radice etimologica è: “unire insieme”.
La sfida, sia a livello personale che globale, è comunicare, anche e soprattutto quando è difficile.

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Condizionare la propria autostima

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Condizionare la propria autostima

In una società in cui ci viene costantemente detto come dovremmo apparire, comportarci e sentirci, è facile cadere nella trappola di basare il proprio valore su condizioni esterne. Questo è un approccio che porta ad una vita di ricerca incessante dell’approvazione altrui e ad un sentimento di insoddisfazione cronica.

Carl Rogers, uno dei più influenti psicoterapeuti del XX secolo, ha profondamente esplorato questo dilemma, introducendo il concetto di “condizioni di valore” per descrivere gli standard interni che una persona sviluppa attraverso interazioni con il mondo esterno. Questi standard, spesso derivati da aspettative e giudizi esterni, diventano i criteri attraverso i quali una persona valuta il proprio valore. Ad esempio, un individuo potrebbe sentirsi degno solo se raggiunge una certa posizione sociale, oppure se appare in un certo modo, come vestirsi alla moda o possedere determinati simboli di status.

L’aderenza rigida a queste condizioni porta a diversi problemi:

1. Dipendenza dall’approvazione esterna: Coloro che basano il loro valore su condizioni esterne sono spesso alla ricerca di approvazione e riconoscimento, rendendo la loro autostima vulnerabile alle opinioni altrui.
2. Distorsione dell’autoimmagine: La propria percezione può diventare distorta, poiché si valuta se stessi attraverso un filtro di aspettative esterne piuttosto che attraverso la propria verità interiore.
3. Insoddisfazione cronica: Inseguire standard esterni può portare a un sentimento di insoddisfazione, poiché è difficile, se non impossibile, soddisfare costantemente aspettative mutevoli.

Rogers suggeriva che la chiave per evitare la trappola delle aspettative esterne fosse vivere in modo autentico e congruente con la propria esperienza interiore. Ecco come:

1. Considerazione Positiva Incondizionata: L’idea di accettare e apprezzare se stessi senza condizioni. Questo comporta vivere esperienze personali e accogliere le proprie emozioni senza giudizio.
2. Ascolto attivo: Prestare attenzione ai propri sentimenti e bisogni interni, piuttosto che concentrarsi esclusivamente su aspettative e giudizi esterni.
3. Auto attualizzazione: Seguire la propria tendenza innata verso la crescita e il raggiungimento del proprio potenziale, piuttosto che perseguire obiettivi basati su standard esterni.

La vera realizzazione di sé non dovrebbe dipendere dal mondo esterno. Ciò che è esterno a noi fornisce il contesto in cui ci realizziamo, soddisfarne le aspettative non dovrebbe essere il nostro principale obiettivo.

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La visione a lungo termine

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La visione a lungo termine

Un giorno di tanti anni fa, quando ero un bambino, mio zio mi fece salire sul suo camion. Era la prima volta per me a bordo di un mezzo di trasporto diverso da un’automobile, e vedere la strada dall’alto fu un’esperienza indimenticabile. Quel giorno, oltre ad assistere al lavoro di consegna delle merci, ricevetti un’importante lezione di vita, seppur in forma di metafora.

Mio zio mi disse: “Non bisogna frenare quando l’auto che ci precede frena, ma quando a farlo è quella che la precede a sua volta”.
La vita, proprio come un percorso stradale, è piena di curve, salite, discese e imprevisti. Se reagiamo solo a ciò che è immediatamente davanti a noi, rischiamo di trovarci impreparati quando sopraggiungono sfide inaspettate.
La capacità di anticipare, di guardare oltre il presente, è una competenza fondamentale per chiunque desideri vivere con proposito e consapevolezza.

Avere una visione a lungo termine significa definire chiaramente dove si vuole andare nella vita, quali sono le mete e quali passi sono necessari per raggiungerle. È una questione di previsione e preparazione.
Essere reattivi significa rispondere alle situazioni man mano che si presentano. Sebbene la reattività possa essere utile in certi contesti, come nelle emergenze, essa non favorisce una crescita personale autentica e sostenibile. Dall’altro canto, la proattività ci incoraggia a prendere l’iniziativa, a pianificare in anticipo e a creare le condizioni per il successo futuro.

Una mentalità proattiva potrebbe significare, ad esempio, acquisire nuove competenze prima che diventino essenziali, affrontare problemi personali prima che diventino ingombranti, o stabilire abitudini sane prima che la salute inizi a declinare.

A volte capita di deformare la nostra percezione della realtà, spingendoci a dare troppo peso al presente o a vedere solo ciò che vogliamo vedere. Riconoscere e superare questi errori è cruciale per sviluppare una visione a lungo termine.
Anticipare è molto più che un semplice consiglio di guida. È una filosofia di vita che incoraggia la previsione, la preparazione e l’azione proattiva. Chi impara a guardare oltre il parabrezza della propria vita è meglio attrezzato per navigare con successo verso le proprie aspirazioni, evitando ostacoli e abbracciando le opportunità con visione e determinazione.

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Vivere il presente

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Vivere il presente

La presenza mentale ha ottenuto ampia risonanza nelle culture contemporanee, eppure, la battaglia tra il vivere nel presente e il vagare tra passato e futuro è antica quanto l’umanità stessa. Numerosi filosofi e psicologi hanno riflettuto sull’importanza di centrare la mente sull’adesso, sottolineando sia i benefici sia le sfide connesse a tale pratica.

Gli stoici, ad esempio, predicavano il concetto di “hic et nunc” (qui e ora). Per Marco Aurelio, imperatore-filosofo romano, il presente era il solo dominio in cui potevamo esercitare controllo, esortando ad abbandonare le preoccupazioni per ciò che è fuori dalla nostra sfera di influenza. In parallelo, il buddhismo ha enfatizzato l’attenzione al momento presente come via per la liberazione dalla sofferenza, attraverso la pratica meditativa e la consapevolezza.

In ambito psicologico, si incoraggia a sviluppare una connessione sana e consapevole con il presente, utilizzando il passato come risorsa per comprendere schemi comportamentali e il futuro come orientamento verso cui indirizzare azioni e obiettivi. La PNL ci invita ad osservare i nostri pensieri e sentimenti senza giudizio, permettendoci di sperimentare il presente in modo autentico e consapevole.

Tuttavia, la mente umana è progettata per viaggiare nel tempo: anticipare il futuro e riflettere sul passato sono attività cruciali per la pianificazione e l’apprendimento. La chiave, quindi, non è reprimere tali tendenze, ma piuttosto integrarle in un pensiero più ampio di presenza consapevole. Il riconoscimento e l’accettazione delle nostre escursioni mentali temporali senza esserne sopraffatti o distratti, fornisce una piattaforma da cui possiamo operare scelte più allineate con i nostri valori e obiettivi autentici.

Sebbene il nostro percorso sia puntellato da echi del passato e sussurri del futuro, il presente emerge come l’unica componente temporale che permette una vera ed effettiva azione e riflessione. Il presente diventa, così, la sola parte del tempo in grado di dare un senso concreto alla nostra vita. Il passato, infatti, si limita a definire il contesto, a fornire un significato, mentre il futuro si costituisce di un’inesauribile serie di decisioni potenziali, che potremmo – o meno – attuare, orientandoci verso la realizzazione dello scopo della nostra vita.

E come recita il Maestro Oogway, nel film Kung Fu Panda: “Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente.”

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